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Dojo Eleonora Krav Maga Training

mercoledì 29 settembre 2010

Difesa personale e istinto



I metodi o sistemi di difesa personale oggigiorno sono sempre più richiesti e, nonostante ciò diventa sempre più difficile stabilire quali siano “i più adatti” e tali scopi. Tuttavia diverse persone sono ancora convinte che uno stile, scuola o metodo sia superiore ad un altro, mentre non considerano il fatto che prima di qualsiasi stile viene “l’uomo” con il suo vissuto e con il suo “corredo genetico”, e solo in secondo luogo il tipo di “addestramento” o arte.

Riuscire a vincere il turbamento di trovarsi in un “conflitto- scontro” non è legato alla tecnica bensì alla capacità di sottrarsi o reagire opportunamente a tale situazione che non sempre, in questi casi, riusciamo a controllare; la predisposizione alla lotta, alla sofferenza fisica e alla sopportazione al dolore fisico e allo stress psicologico è anche dato dall’ambiente in cui siamo cresciuti, dove viviamo e alla circostanza del momento.

Un amico, cintura nera terzo dan di karate,un giorno mi raccontò che mentre era in automobile con a bordo il figlioletto di pochi mesi ebbe una discussione con due persone per un parcheggio: sceso dalla propria autovettura uno di questi lo colpì con un pugno al volto e poi entrambi gli avversari con calci e pugni; lui non riuscì ad avere nessuna reazione perché il suo pensiero era rivolto al figlio che era rimasto solo in macchina, una volta rialzatosi e portato a casa il bimbo ritornò alla ricerca di questi due aggressori che nel frattempo, si trovavano davanti ad un bar ed erano diventati tre: li affrontò e li lasciò a terra tutti senza che questi potessero resistere alla sua rabbia.

Pochissime persone possono assicurare di essersi trovati di fronte ad un’aggressione armata e esserne usciti vivi: nel 1600 il famoso pittore Caravaggio(Michelangelo Merisi) fu aggredito da un uomo armato di coltello e nonostante le diverse ferite accusate da questo scontro riuscì a disarmare e ad uccidere il suo aggressore, ciò avvenne non perché l’artista praticava un’arte marziale ma perché c’era in gioco la vita e lo stesso pittore era conosciuto come uomo decisamente irascibile e violento.

Da questo episodio, come da tanti altri ancora, si desume che in uno scontro non sarà mai solo la tecnica a vincere ma tanti altri fattori concorreranno alla riuscita, lottare per strada non è sicuramente come lottare per una coppa o una medaglia, la lotta sportiva è una scelta, difendersi per la vita è una necessità legata alla sopravvivenza; pertanto gli impulsi sono decisamente diversi: in una gara non uccideremmo mai il nostro avversario mentre per sopravvivere potremmo invece essere costretti a farlo, la guerra ne è l’esempio più lampante.

La scienza ci dice che sotto la nostra corteccia cerebrale due parti del cervello chiamate amigdala eludono i centri cerebrali superiori della corteccia per attivare un sistema emotivo del cervello (sistema limbico) che avvertendo una situazione di pericolo entrano in azione.

Dopo di che l'amigdala riceve ulteriori informazioni più precise che vanno a correggere quelle “istintive” e di conseguenza ci porta a raziocinare sulla reale situazione e a decidere sul da farsi ragionatamente.

L'amigdala è geneticamente programmata a rispondere ai cosiddetti stimoli “preparati”, come un attacco improvviso o un pericolo inaspettato perché la stessa fa parte del sistema emotivo del cervello e risponde geneticamente alla legge della sopravvivenza.

Come quando qualcuno inaspettatamente ci giunge alle spalle per farci uno scherzo: da prima la nostra reazione sarà guidata dall’amigdala che ci farà reagire a seconda della nostra “mappa genetica”, inibendoci oppure mobilitando la nostra aggressività, in secondo tempo entrerà in gioco la razionalità che ci farà capire, attraverso un supplemento di informazioni, che era solo uno scherzo fatto da un nostro conoscente e che non stiamo correndo nessun pericolo.

In questo secondo momento la corteccia è in grado di esercitare una sorta di controllo sulle nostre reazioni emotive controllate dall’amigdala che riceve segnagli più precisi dettati da un'analisi più attenta dei centri cerebrali superiori e ci riporta ad uno stato di tranquillità interiore e fisica.

Le reazioni di sopravvivenza si possono identificare attraverso la prossemica e i segnali “esterni” che il nostro corpo emana: la pelle d'oca, l'alterazione dei battiti del cuore, sudore a freddo; mentre altri segnali “interni” non visibili sono: la vista che si focalizza esclusivamente sull'oggetto del pericolo, l'udito che si “ovalizza”, sono avvisi di una attivazione delle nostre paure ataviche e l'istinto di sopravvivenza ci dice “scappa o lotta”.

Tali sensazioni sono state innescate dalla linea diretta tra i nostri sensi e l'amigdala, queste sensazioni particolari vengono anche chiamate “effetto tunnel”.

Questo “effetto tunnel” è un condizionamento dettato dalla necessità di difesa programmata geneticamente dalla nostra specie per sopravvivere alla selezione naturale della vita.

Secondo il professor Ian Robertson ciò accade perché il nostro cervello è stato modificato dall'associazione nel tempo da due eventi. Uno è dato dalle cellule che si attivano e si legano tra loro, l’altro invece, ogni singolo giorno della nostra vita il cervello viene plasmato e scolpito dall'esperienza in questo modo, senza che noi siamo consapevoli.

L'allenamento alla difesa personale o allo scontro “totale” ha l'effetto di sollecitare le connessioni tra la corteccia e l'amigdala che sono costrette a rispondere allo stress psicologico che uno scontro improvviso, imprevedibile e cruento può causare; l'accumulo di esperienze di lotta devono servire a creare un substrato di conoscenze programmatiche indelebili che scolpiscono una parte del cervello dove la razionalità riveste un ruolo marginale ma predominante a livello di istintività e riflesso assoluto.

Robertson assicura che alcuni tipi di apprendimento “occulti” sortiscono un effetto migliore se l'individuo non è consapevole; il cervello primario può essere programmato senza alcuna memoria consapevole e in questo caso l'amigdala è condizionata dall'esperienza vissuta inconsapevolmente, pertanto si ritiene che il miglior metodo di difesa personale è sicuramente quello improntato su questi principi.

Ciro Varone


Difesa militare e civile


In alcuni ambienti militari e civili hanno applicato alle “antiche strategie” sistemi moderni di addestramento; includendo alla pratica fisica la psicologia del confronto, la prossemica, studiando e analizzando tutti quei segnali che il corpo umano emana per la gestione del suo spazio vitale e quali sono i comportamenti e le tecniche più appropriate per uscire da situazioni di reale pericolo.

Per avvicinarsi e ricreare il più possibile le situazioni di lotta urbana alcuni metodi moderni di autodifesa si sono rivolti anche alle moderne tecnologie militari applicate negli ambienti e scenari ad alto rischio, quella branca della scienza militare dove, per mezzo di percorsi particolari, come la stanza di Ames , l’allenamento in acqua, in ambienti semi bui, con maschere che impediscono la normale respirazione, si lavora sulla psiche e sul soma per “aggiogare” le paure ataviche proprie dell’essere umano e prepararsi a ricevere attacchi al sistema sensoriale cercando di attivare una reazione più appropriata possibile alla situazione di pericolo.

Conclusioni:

Apprendere la tecnica di difesa personale non è “cosa facile” nè tanto meno un gioco: bisogna essere disposti a “ferire e ad essere feriti”, bisogna conoscersi nel carattere e essere in grado, nella necessità, “di valicare i limiti imposti dalla educazione civile ricevuta”.

Questa attitudine agisce sullo stato di “autoconservazione” che fa superare il “panico di non farcela a mantenere il controllo di sé ”, aumentando la capacità di resistere ad un evento “stressante” come potrebbe essere uno scontro per la sopravvivenza o la difesa di una terza persona.

Tralasciando il perbenismo che ammanta la civiltà moderna, che cela l’aggressività con un falso moralismo, sintomo, a mio avviso, di un vacillante lassismo e di una “aggressività deviata”, e analizzando cinicamente il problema della difesa personale possiamo, in un certo senso, affermare che lottare per la propria vita rappresenta l’istinto di sopravvivenza più forte e primordiale insito in ogni essere vivente, pertanto, in un tale evento, esiste l’esigenza di neutralizzare nel più breve tempo possibile e in modo efficace e definitivo l’oppositore sfruttando questo nostro impulso naturale che, però, attraverso l’allenamento serio e costante, viene continuamente rivisto, modificato e adattato alle continue e moderne esigenze. Jigoro Kano diceva: “ l’obiettivo della difesa personale è raggiungere il miglior risultato con il minor sforzo possibile”.

Oggi la nostra società ha delegato allo Stato il compito di difenderci e tutelarci, cosa buona e saggia, peccato che quando un uomo, una donna o un bambino vengono attaccati, le forze dell’ordine arrivano sempre un’ attimo dopo che il delitto è stato consumato!


Si può tentare di fare illazioni su alcune risposte, più o meno plausibili, sul tema di “sport, arte marziale, filosofia e difesa personale”, ragionando al contrario:se un uomo si allena per svago o per vincere un coppa facilitato da un “contesto ambientale modellizzato”, cioè creato ad hoc, dove l’aggressività e la violenza si esternano attraverso un codice comportamentale, o precise regole sportive questi principi possono venire applicati, o meglio, sono in grado, in una circostanza diversa dal dojo, di rispondere alle necessità della difesa personale che non rispetta queste regole?

La filosofia o meglio il “pensiero orientale” legato alla pratica marziale, la quale si intreccia con la cultura, la filosofia e la storia di un popolo, può in certi frangenti “ divenire un’arma di difesa solamente rinunciando allo scontro fisico?”, oppure il prevaricatore infuriato l’unico “linguaggio” che conosce è una risposta violenta e risoluta che lo faccia desistere dal suo intento?

La volontà di vivere in pace con gli altri e di rispettarne la libertà d’azione e di pensiero è ragione sufficiente per “evitare” possibili aggressioni in un contesto qual’ è quello attuale, o forse come capita nel mondo animale l’unica vera dissuasione è la determinazione alla difesa che mette il nostro aggressore in fuga o in condizione di rinuncia?

Quanto l’autodeterminazione personale coincide con la possibilità di “evocare la legittima difesa” qualora per i motivi su riportati si debba ricorrere all’uso della forza, e ancora, fino a che punto l’uso di questa è ragionevole e in che misura e circostanza debba essere applicata? Difendersi non è uguale a gareggiare, poiché nella prima situazione spesso la “dissuasione” non basta per evitare un attacco, occorre combattere e uscirne vincitore, attenzione, non indenne come da un combattimento sportivo ma solo vittorioso e vivo.